Poesie del Vicolo Terzo alla Giudecca di Siracusa

Com’è crudele la vita
com’è entusiasmante la vita
com’è romantica, nostalgica,
triste la vita.
E’ l’Autunno
di anni che volano
è l’inverno di malanni
giovani e vecchi
ed è la Primavera
neonati e bimbi
ed è l’Estate
adolescenti e giovani.
Poi continua il suo giro
la ruota della terra
e cambia le stagioni
e rinnova gli uomini.

La signora Lucia lavora a lana
seduta sull’uscio
dall’alba alla notte
e cuce la sua felicità
e avvicinandosi
allontana da sé
nei gesti esperti,
l’occhio soddisfatto,
il pensiero della morte.

Settembre 1973.

E questo è un altro mattino.
Ottobre illanguidisce con l’ultimo sole.
Ci si raccontano fatti passati
e nell’aria la favola dell’estate
decrepisce.
Nel vicolo niente è cambiato.
Le stagioni non hanno il tempo
di scorrere nel sangue
della povera gente angosciata
dal pane che non sa
se domani potrà comprare.
L’amore dello schermo
con le illusioni suscitate
si stinge nell’impasto
che la pala matura.
La nave solca l’Orizzonte
e tra una palata e l’altra
lo sguardo la raggiunge.
La musica della radio
gonfia il cuore
ed esalta i sentimenti.
Però non succede nulla
nelle ore dei giorni
di ciò che s’immagina
ed è frode.

Ottobre 1973.

E’ un formicolio di voci
di casa in casa che riempiono il vicolo
insieme ad un rumore di bottiglie
del garzone che vende gassose.
C’è il sole che batte sulle cime
delle cadenti case e sulle antenne TV
che rompono la solitudine della vecchia
lasciata dai figli emigrati
a Parigi e a Milano.
Il pomeriggio vive e passa
anche oggi carico di bestemmie
sfogo di Lucia la puttana.

Settembre 1973.

Ha settanta anni
e vive sola
in una stanza buia
del vicolo 3° alla Giudecca.
Con la serratura di ferro
si è chiusa dentro
mormorando contro il freddo
e la pioggia improvvisa di Marzo.
Oscillano i lampioni
e sembrano ondeggiare
casette a tre piani
costruite secoli fa
con mano artigianale
e sembrano toccarsi
stringere le spalle
e abbracciarsi
contro la furia del vento.
Labirinto di semplicità, di vite,
di disgraziati e di poveri
resiste
emarginato dai palazzi.
Vecchie prostitute a riposo,
muratori anziani e soli
che ritornano la sera
bianchi di calce,
famiglie povere ma oneste
e ricche di bimbi canarini
passano la vita
in ruderi trecenteschi
e settecenteschi
ghiacciai d’inverno
forni d’estate.
Ogni piccolo rumore del vicino
la notte si propaga
di casa in casa
e non si è mai soli.
Voci senza volto
diventano consuete e amiche
più rotte dalle collere che gioiose.
Una vecchietta
senza nessuno al mondo
– qui non è novità –
dice che ha due figli
e tanti nipotini:
sono due gatti,
uno bianco neve
l’altro nero carbone
e tanti gattini figli.
Li chiama bambineddi
e dice che sono
più fedeli degli uomini
perché non tradiscono mai.
Da loro da mangiare
e ci gioca tutta la giornata
e la notte se li corica sul letto.
La casa fa una puzza
che lei non sente
ma che i vicini avvertono con fastidio
e sopportano.

Marzo 1973.

Il mattino si sveglia
con rumori e luce grigia
nel vicolo. Le radio emettono
comunicati e canzoni
e le campane del Duomo
affidano suoni di richiamo
all’aria. Un neonato
piange e la nonna lo conforta.
Passa un motore.
Il sole si alza e perfora
la platina plumbea che
gravava sulla città.
Il quartiere s’è destato
con i saluti dei vicini
che s’affacciano sull’uscio.
Le prime voci le prime notizie
corrono di casa in casa.
In questa realtà mi dibatto
sul letto e pongo l’orecchio
alla voce ai gesti degli altri
come a un talismano
per sfuggire alla morte
che ti ha segnato a 19 anni,
Enzo.

Ottobre 1973.

Il tempo goccia goccia va
ed è angoscia svegliarsi
guardare l’orologio
e sentire d’aver perduto l’alba
nella grigia luce dell’inverno.
La vita è avvolta da un velo
di nubi e si svolge monotona
senza paesaggi ed orizzonti
e triste imbevuta di rassegnazione
per tutto ciò che manca.
La povera gente di questo quartiere
scorre lungo i giorni
tra piatti da lavare, spesa da fare,
radio e televisione che confortano
la loro inferiorità d’emarginati
bestemmie e liti continue.
Le case costruite dagli ebrei
secoli fa sono cadenti, strette,
ammucchiate e senza bagno
e frustano l’adolescente
che vorrebbe una casa migliore
e senza freddo come quella
del compagno di scuola.
E’ un labirinto e i sentimenti
si perdono nell’eco dei vicoli
gridati da bimbi scalzi e sporchi
e dalle puttane che a tarda notte
ritirandosi s’arruffano tra loro.

Ottobre 1973.

Ottobre è acqua e sole.
Si sveglia annuvolato
e stira le braccia
congestionando le nubi
che trasformate in acqua
cadono sui tetti e le strade.
Piano piano lasciano il cielo
e l’azzurro di pari passo s’estende.
A mezzogiorno spunta il sole
e porta brio nel quartiere.
I bambini escono per i vicoli
e corrono e gridano
personaggi delle loro fantasia.
Nei volti c’è la speranza
che infonde la natura.
Il pomeriggio ritornano le nuvole.
Il cielo è una mandria di pecore
che brucano l’azzurro.
Vele rosate lievi solcano
le bianche nubi avvolgendole
e immensi archi luminosi
accerchiano il sole morente.
La coralità della sera
trapunta d’angoscioso fascino
i cuori di chi la guarda
attento a svelarla.
I balconi sono vuoti
le strade deserte.
Appare una giovane madre
col maglione di lana e lo scialle
che cammina veloce
trascinando il bambino con la mano
contro il freddo.

Ottobre 1973.

Si fa sera.
La luna consonante a D
spicca a lampione sopra il quartiere
nell’aria imbevuta del colore
di trapasso.
Il vicolo parla coi giochi
dei fanciulli a calzoncini corti
che fingono i grandi
e col bollire e friggere delle pentole
odor di cena.
La saggezza della nonna
conforta i volti ora immobili
di tristezza perché nella bottega
non riescono più ad accattare il necessario
– pane pasta ed uova, la frutta
salta la sera, la carne una volta la settimana –
e stretti dalla necessità,
ahi mostro invisibile!
si privano dalla bocca
per i figli che crescono.
Si accendono le lampade
nella strettoia.
Dal balcone striminzito
intendo suoni ed odori
che trasportano le particelle
in moto dell’aria.
Il vicolo s’è svuotato.
Rumori di piatti di radio di TV
di passi corrono per la stretta
strada, vanno e ritornano
e più in là non vanno
se non d’eco,
come i moti degli animi
che salgono e ridiscendono col sangue
nella strettoia dei sacrifici
per il tozzo di pane
e più in là del corpo non vanno
se non con la speranza
inesauribile del povero.
Ora le case sono piene dei figli
e del padre attorno la tavola.
Ma non c’è pace!
“ facci di fumeri,
carnaluvari,
disgraziatu tu si, “ ecc….
esplodono dalle bocche.
Gridano i malumori
le tristezze, il desiderio di comprare
i fagioli irrealizzato scoppia nella bocca
e si scontra con i rimproveri del capocantiere
che vorrebbe chissà cosa.
“ Vi stati muti?! “
spruzza pietoso il nonno
che non ne può più.
I fanciulli non si sentono
se non quando li investe
la nevrosi dei genitori
e allora piangono.
E così ogni sera.

Ora la luna sfugge ad Occidente
e le gatte la guardano
dai piccoli tetti di ciaramine
miagolando.

Maggio 1973.