Tyson l’africano

Tyson l’africano

“Voglio restare in Italia a lavorare”,

così davanti alla legge piangendo implora Tyson
l’africano il capo rivolta del campo dei profughi
di Pian del Lago d’Agrigento
questa volta in un’aula di tribunale davanti al Pretore
che deve decidere la pena da infliggere al rivoltoso.
Nel silenzio tra mobili antichi in legno
ora tocca a quel giudice applicare una legge.
Tyson implorante di voler restare in Italia a lavorare
fa pena ma è una nuova coscienza che emerge con forza
come in Europa il trattato di Shengen ha sancito.
Giudici avvocati e poliziotti bianchi guardano la gabbia metallica
dentro cui stanno rinchiusi ammassi di neri, meticci, qualche bianco slavo.
Proprio il giorno prima è nato un bambino profugo nella barca
che trasportava decine di persone in questo Nuovo Mondo.
Ci si chiede dove sarebbe stata registrata la nascita in quel barcone in fuga dall’Africa all’Italia, in quale tratto di mare, Africano o Italiano?
E se italiano, si può espellere uno straniero di colore
nato in territorio italiano?
Si può espellere la madre africana d’un neonato italiano?
Quest’ammasso di carne umana dentro una gabbia enorme
fatto vedere in tutti i telegiornali e in fotografia in tutti i giornali
d’Italia e d’Europa, persone deprivate di dignità, colpevoli
di desiderare d’andare a lavorare in un paese diverso
per costruirsi una vita migliore, è un pugno al cuore.
Ancora il razzismo, Hitler e i campi nazisti non hanno
insegnato alcuna umanità.

Voglio che questa poesia sia violenta e furiosa e travolga
quegli uomini che condannano respingono e si circondano di barriere,
voglio che questa mia poesia anticipi l’amore e il rispetto per l’umanità,
che abolisca dogane e frontiere
e insegni che il mondo è di tutti e a tutti semplicemente appartiene
senza distinzioni di razza sesso nazionalità,
che il futuro dell’umanità stia nella condivisione e nella libera circolazione.
Voglio che questa mia poesia sia quel bambino nato nella barca in fuga
alla ricerca di libertà.

Ancora Tyson è di fronte al Pretore in attesa di giudizio
così come tutti gli uomini in gabbia con lui,

Tyson vento che irrompe ed apre improvvisamente
con determinazione e senza spargimenti di sangue porte
alle coscienze statiche degli europei.

Il caldo afoso d’agosto di questo 1998 è terribile e in tribunale,
senza climatizzatori, odore di sudore di carne umana,
indistinguibile se nera o bianca, esala da quella sala insieme a
urla, pianti, arringhe e difese.

In alto l’azzurro fumoso accoglie impassibile
drammi di vita su cui i riflettori d’Europa
puntano tifando per l’ordine costituito e contro
tutti i Tyson in gabbia.