Ad Amelia Rosselli

Ad AmeliaRosselli
e alla sua estrema sensibilità
pensandola dieci anni fa,
a Maggio,
quando recitava le sue poesie
tra gli utenti del Centro di Salute Mentale
e i cittadini di Caltagirone
al teatro “Vitaliano Brancati”,
messo gratuitamente a disposizione
da Gino Reale

Poche cose, l’idea che con la poesia
si possa vivere
e l’idea di avere qualcosa da dire
da dare e poi scoprire che non
serve a nulla, che non si è nulla.
Il poeta o chi vive di poesia
ha due pesi, la solitudine e la povertà.
Tu avevi anche il peso della sofferenza
di una malattia
con cui lottavi:
l’assassinio dei tuoi cari perseguitati,
le fughe, lo scappare continuo con te piccola
dall’Italia alla Francia, all’Inghilterra, all’America
per sfuggire invano alla morte.
Ora ciò era passato, lontano dai giorni nostri,
ma per te era rimasto un presente
ancora vivo.

In fondo al salto la fuga dall’angoscia,
l’ultima.

Amavi i forti contrasti,
le rotture, le spaccature,
un vetro bello non dice nulla,
in un vetro spaccato tanta ricchezza
tanta poesia.
La rondine che rompe
l’armonia dell’orizzonte
l’arricchisce,
la rondine che fa storia.

Dietro questa forza-contrasto
le fratture della tua vita,
le fughe celate,
il brivido dolore del rischio.

Ora in quest’Occidente
che muore senza fiorire
la tua solitudine era ulivo gigante
trapiantato su asfalto
nello scorrere rumoroso d’autoveicoli
che lentamente ingialliva, s’annodava,
s’aggruppava nei rami dell’anima,
s’impallidiva, s’infragiliva,
non reggeva più il peso
di se stesso fuori posto ormai.

M’addolora questa tua fuga
brutalmente appresa dal telegiornale,
questa tua fuga avvenuta alle 18 e già alle 20
sbandierata in tutte le tv d’Europa.

Per alcuni giorni le terze pagine dei giornali
interromperanno la noia di giornali noiosi!

Forse una calda carezza, il sole di un’amicizia
avrebbe riscaldato il freddo della tua ombra.
Ma eri un gigante
e s’aveva timore d’avvicinarti.

Assassinato tuo padre e tuo zio
suicida tu in un’Italia fredda di solitudine
e povera.

Caltagirone, Maggio 1996