Quell’uomo nella toilette del treno

Quell’uomo nella toilette del treno
cantava e gridava la sua felicità,il suo amore,
sicuro di non essere udito
( il rumore del treno copriva la sua voce ),

nelle gallerie cantava ancora più forte,
sentiva il bisogno di comunicare a tutto il mondo
che era felice, ma ciò non sarebbe stato normale
e allora di nascosto cantava nella toilette
del treno che lo riconduceva alla sua terra.
Non s’era accorto che il treno si stava fermando,
che il rumore diminuiva,che altri sul corridoio
sentivano il suo canto.

“ Puoi farmi un piacere?
La mia amica oggi compie 18 anni,
puoi darle un bacio? E’ senza ragazzo,
ti ha visto, le sei piaciuto
e vorrebbe un bacio da te,
ma è timida a chiedertelo”.
Così chiedeva una ragazza sconosciuta,
sulla vespa
con l’amica seduta dietro, per strada,
a lui sul marciapiede a Roma, in via Nazionale.
Le sue labbra avevano sfiorato una fredda guancia,
dandole calore, di un volto giovanile, rotondo,
bello, in cui due occhioni neri brillavano
lacrime di felicità che non poteva esprimersi.
Subito erano sparite inghiottite nel buio della sera
così come erano apparse.

Pensava che questa era la felicità,
un niente, un’emozione che t’illumina
e ti fa stare d’un bene grande,
così, immaterialmente.

A Villa Borghese quell’uomo era solo,
con qualche bagattella in una busta di plastica,
innamorati passavano,
si sedevano sulla panca vicina, ignorandolo,
e quell’uomo a tratti leggeva
un foglio ingiallito di giornale,
ad alta voce come a volere ascoltarsi,
non aveva nessuno con cui parlare;
d’un tratto si è messo a cantare, gli altri passavano
in bicicletta, a piedi, famiglie intere,
altri innamorati abbracciati,
ma nessuno lo vedeva, nessuno si fermava.
Era solo nella sua solitudine,
nella sua trascuratezza,
tutto il suo mondo era lì, nel giornale raccattato,
nella busta di plastica piena di cianfrusaglie,
ma felice da solo parlava, leggeva, cantava.

E anche quell’uomo nel bagno del treno
era solo, di nascosto cantava, felice,
e l’uomo di Villa Borghese cantava la sua esistenza
la sua povera felicità di stracci e di un giornale
che poteva leggere a tutto spiano sulla panchina
come gli uomini importanti.

Vi era un frinire di cicale nella canicola,
un venticello rinfrescante,
una luce bianca di mezzogiorno,
l’ombra sotto gli alberi di pini secolari,
un profumo di bosco.

Roma, 1994